Dalla destituzione di Omar al Bashir nel 2019, la società civile sudanese ha cercato in vari modi di riportare la democrazia. Oggi le lotte di potere tra militari vanificano questi sforzi, scrive Pierre Haski.
Qualche mese fa, quando volevamo ancora credere che la primavera araba non fosse definitivamente morta, citavamo con prudenza i casi della Tunisia e del Sudan. La Tunisia, paese dove è partita l’ondata di rivolte democratiche, ha ormai operato una svolta autoritaria preoccupante con il presidente Kais Saied. Il Sudan, invece, da due giorni è in preda a violenti scontri tra due schieramenti militari, con decine di morti.
Da allora il Sudan ha cercato di trovare un equilibrio tra le rivendicazioni della società civile, attiva e molto strutturata, e l’esercito, che non vuole mollare la presa. Il 15 aprile è cominciata una prova di forza tra due rami dell’esercito, e tra le vittime ci sono numerosi civili e operatori umanitari, finiti tra due fuochi.Se alla testa di un paese ci sono due uomini forti, uno è sicuramente di troppo.
Oggi nelle città del Sudan è in corso una battaglia sanguinosa per la conquista del potere tra due leader e due clan militari.
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